Il debitore che subisce abusi, a seguito di atteggiamenti aggressivi ed invadenti dalle società di recupero crediti (telefonate insistenti sul posto di lavoro, a casa di parenti e di terzi), ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
Recuperare un credito, di questi tempi, è un’impresa ardua: ma non per questo è lecito infrangere le regole poste a tutela della privacy del debitore. Su tale aspetto, invece, le società di recupero crediti hanno la “mano pesante”, spinte dall’esigenza di raggiungere gli “obiettivi di recuperato”. E così, spesso, le telefonate inoltrate al debitore, per convincerlo a saldare la morosità, lo raggiungono persino sul posto di lavoro o a casa dei parenti.
In questo caso, non c’è dubbio che viene violata la riservatezza del cittadino il quale ha il diritto a mantenere segreta la propria posizione debitoria nei confronti dei terzi, specie parenti e colleghi.
Significativa, a tal proposito è stata la sentenza n.883/12 del Tribunale di Chieti, che ha accolto il ricorso di un consumatore nei confronti sia della banca (titolare del credito) che della società di recupero.
Quando la società di recupero crediti continua a contattare il debitore in orari irragionevoli, con frequenza superiore al dovuto, e le telefonate e i messaggi sul lavoro e a casa dei familiari sono così insistenti tanto da costringere l’interessato a dover fornire spiegazioni a parenti e amici, il debitore ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
Secondo il giudice, in questi casi scatta il risarcimento del danno non patrimoniale. Tenuti all’indennizzo sono
– sia la banca: su di essa, infatti, grava l’obbligo di vigilare sull’operato di chi ha incaricato per recuperare i propri crediti
– sia la società di recupero: essa è infatti obbligata a verificare di poter utilizzare i numeri di telefono e le altre informazioni utili del debitore. Pertanto, se il cliente ha fornito alla banca solo alcuni numeri telefonici ove essere rintracciato, la società di recupero non può cercare di altri.
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